martedì 10 marzo 2009

NESSUNA RIPRESA IN VISTA

Da Roubini Global Econmonitor (www.rgemonitor.com)

I recenti e marcati cali nel valore delle azioni negli USA e nel Mondo, non implicano un conseguente rialzo immediato e, anzi, sussistono rischi di ulteriori cali nel mercato azionario. Le brevi corse al rialzo (i “bear market rallies”) sono destinate a rimanere episodiche e isolate, schiacciate sotto il peso di notizie sempre peggiori sull’andamento macro-economico delle aziende e dei mercati finanziari.

Seguendo un approccio macroscopico, i guadagni per azione delle aziende nel listino S&P 500 potrebbero essere realisticamente tra i 50 e i 60 dollari (alcuni sostengono che potrebbero scendere fino a 40 dollari). La domanda è quale sarà il moltiplicatore, cioè il rapporto prezzo/guadagni (P/E – Price/Earnings) su tali guadagni. È lecito affermare che questo moltiplicatore scenderà fino a un valore di 10-12 in una recessione di media lunghezza (a forma di U). Quindi, anche nel migliore scenario possibile (guadagni a 60 e P/E a 12), l’indice S&P arriverebbe a 720. Se i guadagni saranno più vicini ai 50 dollari e il rapporto P/E inferiore a 10, l’S&P portrebbe scendere sotto i 600 o addirittura sotto i 500 punti. Secondo lo stesso concetto il Dow Jones potrebbe al massimo fermarsi a 7.000 o addirittura scendere fino a 6.000 o 5.000. Usando lo stesso ragionamento i valori azionari globali (seguendo quelli statunitensi) rischiano di calare di un altro 20%.

Queste previsioni sono state stilate quando l’S&P era ancora vicino ai 900 punti e il DJIA (Dow Jones Industrial Average) era vicino ai 9.000: l'analisi generica che ne è conseguita è la ragione per cui abbiamo sostenuto che l’ultimo “bear market sucker’s rally” (letteralmente la “corsa degli sfigati”, cioè la breve crescita dei valori azionari legati agli acquisti di investitori troppo ottimisti e destinati a rimanere “fregati”), tra novembre 2008 e gennaio 2009, si sarebbe esaurito e sarebbero stati raggiunti nuovi picchi negativi. Infatti. Come i rally precedenti, anche questo è crollato di oltre il 20%, con il DJIA e l’S&P che sono scesi al di sotto dei 7.000 e dei 700 punti rispettivamente. Ora che entrambi sono ben al di sotto del livello “7”, il prossimo test verrà quando caleranno al di sotto di valori pari a 6.000 e 600 per i due indici.

Un nuovo bear market rally potrebbe ripetersi nel secondo e terzo trimestre di quest’anno e finirà come i precedenti sei. Negli ultimi 12-18 mesi, ogni volta che si è verificato un evento drammatico (che ha trascinato gli indici a nuovi record negativi) e il governo ha reagito con una politica più aggressiva, gli ottimisti sono usciti allo scoperto dichiarando che l’ennesimo evento drammatico e catartico in questione ha rappresentato il raggiungimento del punto più basso da cui deve iniziare la ripresa reale: l’hanno detto dopo Bear Sterns, dopo il collasso e il salvataggio di Fannie Mae e Freddy Mac, dopo Lehman Brothers, dopo AIG, dopo l’annuncio del TARP (Trouble Assets Relief Program), dopo il comunicato del G7, dopo lo stimolo fiscale da 800 miliardi di dollari (che ha segnato l’avvio del più recente sucker’s rally).

E dopo poco tempo i mercati sono stati nuovamente scioccati nello scoprire che le notizie macroeconomiche erano molto peggio delle previsioni sia negli USA che all’estero. Che i guadagni erano molto più bassi delle attese non solo per operatori finanziari, agenti immobiliari, costruttori edili e aziende dirette ai consumatori ma anche per aziende non legate al settore finanziario, e che i mercati, le performance dei gruppi d'investimento e le notizie generali sono peggiori di quanto ci si aspettasse.

Come abbiamo ripetuto più volte sono molte le notizie negative legate a queste aziende/mercati finanziari: notizie che sempre più istituti finanziari sono di fatto insolventi e dovranno essere acquisiti dai governi; notizie che istituti molto in leva, come gli hedge fund, dovranno svincolarsi ulteriormente e quindi vendere proprietà non-liquide in mercati non-liquidi, notizie che anche gli investitori meno in leva (retail, mutual fund, ecc), che hanno perso oltre il 50% del valore azionario, vogliono ridurre la propria esposizione azionaria; e notizie che tutta una serie di economie emergenti è oggi sull’orlo di una crisi finanziaria contagiosa.

Come mai anche le piccole economie dei mercati emergenti influenzano il prezzo dei valori di rischio a livello globale? Prendiamo ad esempio l’Islanda, una piccola isola con 300.000 abitanti nel mezzo dell’Atlantico: le banche locali hanno preso in prestito dall’estero denaro per un valore pari a 12 volte il PIL del Paese e l’hanno investito in titoli tossici. Ora le banche sono fallite e lo stato è fallito, in quanto le banche erano troppo grandi per essere salavate: allo stesso modo le banche che rivendono asset non liquidi in mercati globali non liquidi hanno un effetto a catena sui mercati.

Chiaramente non possiamo escludere un bear market sucker’s rally nel Q2 o Q3 2009. A trainarlo saranno le notizie sui miglioramenti nella crescita economica in USA e Cina grazie agli stimoli approvati dai rispettivi governi. Ma subito dopo (nel Q4) gli effetti degli sgravi fiscali e degli annunci di investimenti sulle infrastrutture si esauriranno, visto che la maggior parte dei lavori sulle infrastrutture hanno bisogno di almeno un anno solo per essere iniziati (per essere portati a termine richiedono molto più tempo). Allo stesso modo, in Cina, lo stimolo fiscale offrirà un falso incremento alle attività produttive non quotate mentre il settore quotato e l’industria manufatturiera continuerà a contrarsi. Vista la severità degli squilibri macroeconomici, immobiliari, finanziari e corporativi negli Usa e nel mondo questo sucker’s rally si esaurirà come i 5 che l’hanno preceduto.

Quali sono i rischi maggiori, secondo queste previsioni pessimistiche, per i valori azionari statunitensi e globali? Lo scenario più pericoloso è, come abbiamo già detto, quello di una quasi-depressione a lungo termine, molto più grave delle recessione a medio termine in cui ci troviamo attualmente. Se si verificasse una quasi-depressione non si potrebbe escludere un ulteriore calo del 40-50% dei valori azionari americani e globali. Ma in questa quasi-depressione i mercati azionari sarebbero l’ultima delle preoccupazioni: ci sarebbero problemi più gravi da affrontare come tassi di disoccupazione a più del 15% e un periodo multiannuale di stagnazione/deflazione.

Lo scenario migliore è quello di una ripresa sostenuta che avvenga più rapidamente delle nostre previsioni, grazie agli stimoli in USA e in altri Paesi. Una ripresa duratura (contrappopposta a una ripresa temporanea) è improbabile ma l’argomentazione ottimistica (bullish) finalizzata a contrastare un mercato pessimistico (bearish) è basata su una capacità di ripresa delle economie americane e globali superiore alle aspettative.

Il problema è che, con l’economia americana e globale in grave difficoltà e con le forze deflazionarie al lavoro, è difficile credere che possa verificarsi una massiccia ripresa nel 2010 che faccia impennare i gudagni: anche nel caso ottimistico che ci troviamo in una recessione a medio termine, la crescita USA nel 2010 sarà inferiore all’1% e quella dell’Eurozona sarà intorno allo 0%. Quindi, con una crescita così lenta la pressione deflazionaria sarebbe ancora presente, mettendo ulteriore pressione sui profitti e sulla capacità delle aziende di stabilire i prezzi e quindi i margini. In questo scenario una crescita rapida e sostenuta dei valori azionari è altamente improbabile.

È vero che generalmente il prezzo delle azioni guarda avanti e tende a raggiungere il livello minimo circa 6-9 mesi prima della fine della recessione, intravedendo la luce alla fine del tunnel. Quindi gli ottimisti che vedono una ripresa nella seconda metà del 2009 sostengono che la ripresa dovrebbe iniziare adesso. Ma questa recessione potrebbe non concludersi nel 24° mese (dicembre 2009). È più probabile che i tassi di disoccupazione aumentino nel 2010 fino a più del 10% e che la crescita sia così lenta (0-1%) che rimarremmo in una recessione tecnica per gran parte del 2010. Quindi gli indici azionari toccherebbero il loro valore minimo verso la fine del 2009 o addirittura nel 2010.

Inoltre non sempre i valori azionari guardano avanti di 6-9 mesi. Nell’ultima recessione il settore economico ha raggiunto il punto minimo nel novembre del 2001 e la crescita del GDP era già robusta nel 2002. Ma il mercato azionario ha continuato a calare fino al primo trimestre del 2003. Quindi non solo i trend dei mercati azionari non sono stati in grado di precedere la ripresa ma addirittura sono arrivati 18 mesi più tardi. Uno scenario simile potrebbe verificarsi anche questa volta: l’economia reale esce dalla recessione nel 2010 ma la crescita è così debole che le forze deflazionarie mantengono un ulteriore blocco sulla capacità delle corporation di fissare i prezzi e quindi determinare i margini di profitto, con varie false partenze dell'ottimistico bullish market.

Molto probabilmente dovremo allacciarci le cinture e prepararci per nuovi minimi dei titoli americani e globali nei prossimi 12-18 mesi. Un ripresa forte potrà avvenire quando riusciremo a intravedere segnali chiari che questa recessione globale a medio termine non si stia trasformando in una quasi-depresisone a lungo termine. Fino ad allora possiamo aspettarci titoli azionari volatili e performance frammentate, con nuovi picchi minimi raggiunti nei prossimi mesi e per tutto il corso del 2009.

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