venerdì 12 dicembre 2008

LA MANIFESTAZIONE (RACCONTO BREVE)


La manifestazione dei neonazi era prevista per la mattina di sabato. Era stata autorizzata dal comune, non sapevo bene per quale ragione. Dopotutto l’apologia del fascismo in teoria era un reato in Italia e tutto si poteva dire di Forza Nuova tranne che non fossero dei fottuti fasci. Invece il comune, guidato dal sindaco di centrodestra, aveva dato il suo benestare. Era tutto un complotto, ovviamente. Le elezioni erano alle porte e tutto era stato calcolato, anche la reazione che non poteva non arrivare dalle forze della sinistra e quelle indipendenti. Anch’io sarei stato lì con loro. Non facevo parte di nessun gruppo ma da sempre avevo simpatizzato con qualsiasi forma di ribellione. Sono comunista dalla nascita e odio la polizia dopo alcuni brevi trascorsi in galera per consumo e spaccio di droga. Sono un ebreo ma ho sempre tenuto la testa rasata, quindi, con il pizzetto biondo e gli occhi azzurri, sembravo più ariano io dei neonazi.
Sapevo che gli indipendenti dei centri sociali si sarebbero mossi per intercettare il corteo di Forza Nuova che si muoveva verso il centro. Quando li raggiunsi c’erano circa un centinaio di persone, in tute scure e con i volti coperti da passamontagna neri. Sembravano criminali ma erano loro i giusti. I criminali erano i fascisti. Non capivo come fosse possibile che nessun altro se ne rendesse conto. Dopotutto se il governo non impedisce che i fasci sfilino in centro a Milano, qualcun altro doveva pur farlo e quel qualcuno eravamo noi.
Quando eravamo a non più di duecento metri dai fasci, e sentivamo già i loro cori razzisti e pieni di odio, le loro urla amplificate in italiano e tedesco, le loro voci maledette, ci rendemmo conto che tra noi e loro c’era un altro ostacolo. Non meno fastidioso. Erano almeno duecento poliziotti in divisa antisommossa, con tanto di cellulari blindati, volanti scudi e manganelli e fumogeni pronti a essere sparati. Quei bastardi stavano proteggendo i fasci. Ed erano più di noi e armati fino ai denti. Vidi che alcuni iniziavano a esitare. Non bisognava arrendersi, non ora. I fasci non avrebbero sfilato quel giorno a Milano, ne andava dell’onore di tutti quei partigiani morti per liberare l’Italia. Ma ormai era passato troppo tempo, troppi avevano dimenticato. E i fasci erano tornati.
Decisi che avrei dovuto dare l’esempio e mi misi alla testa del gruppo con gli altri comandanti. Avevamo le facce coperte da bandana o da passamontagna neri. Io avevo un passamontagna che mi copriva anche la testa. Era meglio che non si vedesse che avevo i capelli rasati a zero, mi avrebbero potuto scambiare per uno dei naziskin. Ci avvicinavamo sempre più ai poliziotti. Alcuni esitavano e rallentavano il passo ma non io. Io ero deciso a scontrarmi. I poliziotti erano ormai a solo poco più di 50 metri, cominciammo a caricare lanciando pietre. Loro si proteggevano con gli scudi e i caschi e venivano verso di noi alzando i manganelli.
30 metri, 20 metri, 10 metri. Scontro.
Cominciai a tirare pugni e calci senza guardare in faccia a nessuno. Per quanto mi fossi allenato non ero mai stato bravo a picchiare. Menavo a caso e spesso le prendevo. Per un po’ sembrava che tutto stese andando bene, non avevo subito che qualche colpo leggero ed ero sicuro di averne messo a segno un paio. Stavamo avanzando e i poliziotti indietreggiavano. Poi una manganellata mi raggiunse alla schiena e caddi a terra. Nella confusione non capivo più nulla e sentii altri colpi. Mi raggomitolai, cercando di sfuggire e rialzarmi poi un altro colpo mi raggiunse al viso e mi sfilò il passamontagna.
Intanto i fasci si erano avvicinati. Ci vedevano e videro me. Pelle chiara con gli occhi azzurri, la barba bionda, la testa rasata e gli stivali neri con le punte d’acciaio. Devono aver pensato che ero uno di loro. Vidi che venivano verso di me e che i poliziotti si spostavano per lasciarli passare. Qualcuno mi prese e mi trascinò via dal casino. Non riuscivo a parlare. Dovevo aver preso un calcio in bocca e quando l’aprivo per dire qualcosa usciva solo sangue. Mi portarono all’interno del loro gruppo e chiesero in giro se c’era qualcuno che mi conosceva. Ovviamente non c’era nessuno. Io cercai di alzarmi ma non riuscivo a reggermi in piedi e mi rimisi a terra. Uno di loro mi frugò nelle tasche dei pantaloni per cercare un qualche documento di identità. Cercai di fermarlo ma non feci in tempo. Tirò fuori il mio portafogli. All’interno trovò quello che non avrebbe mai pensato di trovare. La tessera del centro sociale che frequentavo e la mia patente. Con il mio cognome ebreo scritto chiaramente.
“Guarda guarda cosa abbiamo qui”, lo sentii dire con quel tono maledetto che hanno solo i neofascisti. “Un cazzo di ebreo e per di più comunista”.
Sapevo cosa sarebbe successo ora ma non avevo la forza per farci niente. Sentii un altro calcio alla faccia, poi più colpi alle costole. Cercai di allontarmi strisciando ma era impossibile. Mi raggomitolai di nuovo su me stesso per attenuare i colpi pregando che smettessero ma non smettevano. Dopotutto ero ateo, pregare non mi serviva a niente.
Intanto però un gruppo di no global in passamontagna nero era riuscito a superare le linee della polizia. Dovevano aver visto che i fasci stavano accanendosi in tanti contro uno ed erano intervenuti. Dopo una breve rissa di gruppo per salvare almeno le apparenze i fasci si ritirarono. Quei codardi non combattevano mai ad armi pari. Un paio di no global mi trascinò via da lì. Io ero tramortito ma ancora vagamente cosciente. Abbastanza cosciente da sentire le parole che i fasci urlavano andandosene: “Tenetevelo pure quello sporco ebreo”.
“Ebreo?”, disse uno dei balckblockers. “Ah sei un cazzo di ebreo? E allora dovrai rispondere tu dei miei fratelli palestinesi?”
Mi lasciarono cadere per terra e cominciarono a calciarmi. “Palestina libera” li sentivo dire mentre caricavano. Erano rimasti in pochi e i poliziotti stavano per riprendere il sopravvento così si sfogavano su di me. Io non li conoscevo e loro non conoscevano me. Non riuscivo a parlare ma tanto non mi avrebbero ascoltato. Per fortuna irruppero i poliziotti che li obbligarono a diperdersi. Mi tirarono su ma allo stesso tempo uno di loro mi riconobbe per i miei trascorsi e prima di sbattermi nel cellulare mi presero ancora a manganellate. Ero ridotto a un ammasso di sangue e lividi dappertutto. Dovevo avere almeno un paio di costole rotte ma quando riuscii ad avvicinarmi abbastanza a uno di loro gli sputai in faccia e giù con altre manganellate. Un altro gruppetto degli indipendenti doveva aver visto la scena e si lanciarono sui poliziotti. Mi trascinarono via. Non opposi resistenza. Per oggi ne avevo prese abbastanza.

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