venerdì 12 dicembre 2008

NON E' CHE ODIO STARBUCKS... PERO'


Il caffè americano, a volte, mi piace. A volte. Ogni tanto, così per cambiare. Bicchierone, tonnellate di zucchero, crema. In inverno ti scalda di brutto. I coffee shop poi sono belli, comodi e ti danno Internet gratis. Il problema di Starbucks è che invece di fare le cose in maniera decente, senza esagerare, sono partiti a mille alla conquista del mondo senza rispetto per le culture locali (come molte aziende e governi americani) che possono essere più o meno efficienti ma qualche lato positivo devono pur averlo se sono sopravvissute per centinaia di anni. Noi in Italia ocn Starbucks abbimoa persinoesagerato in senso opposto. Non li abbiamo proprio fatti entrare. "Il nostro caffè non si tocca!"

Adesso pare prorpio che abbiamo fatto bene. Un giornalista di Newsweek infatit ha teorizzato che c'è una correlazione diretta tra il numero di Starbucks in un determinato Paese e i suoi guai economici:

RECESSIONE AL CAFFÈ

Molti in Italia non sanno cosa sia Starbucks, perché in Italia di Starbucks non ce ne sono. Nel Mondo occidentale (o comunque nel mondo occidentalizzato), invece, di Starbucks ce ne sono a centinaia, tanto che spesso si scherza sul fatto che nelle principali capitali mondiali se ne trovano in ogni angolo e che a volte sono persino uno di fronte all’altro.

Starbucks è una catena di “coffee shop” nata a Seattle, proprio nella culla delle nuove tecnologie che hanno dato vita alla bolla economica di Internet alla fine dello scorso millennio. Un giornalista di Newsweek, Daniel Gross, si è divertito a tracciare un parallelo (neanche troppo forzato) tra la presenza di Starbucks in un Paese e i guai economici legati alle nuove crisi, quella dei mutui e quella immobiliare.

Seguendo l’esempio di Thomas Friedman, che aveva teorizzato come il numero di McDonald’s in una Paese dimostri la disponibilità di quel governo di scendere a compromessi sulle dispute internazionali, invece di scendere in guerra (teoria oggi smentita dal numero di McDonald’s presente in Israele e Palestina), Gross ha identificato alcune capitali dove la concentrazione di Starbucks è altissima e ha notato che in quei Paesi i danni economici recenti sono stati molto ingenti.

Solo a Manhattan, nel centro di New York, ci sono infatti 200 Starbucks e la crisi negli USA è già costata quasi un triliardo di dollari. Utilizzando lo Starbucks International Store Locator si può vedere come a Londra, dove diverse banche hanno dovuto essere nazionalizzate, ci sono 256 Starbucks. In Australia gli Starbucks sono 23 e anche lì ci sono stati diversi episodi negativi legati agli hedge funds e alla finanza in generale. A Madrid, la capitale finanziaria della Spagna, dove si sentono gli effetti dello scoppio della bolla immobiliare, gli Starbucks sono ben 48 e la capitale della Francia, anch’essa non immune alle crisi finanziarie, ne ha 35. Altri esempi non occidentali sono Dubai, con 48 Starbucks per una popolazione di 1,4 milioni di persone, e la Corea del Sud, dove il governo è impegnato in una serie di difficili salvataggi di banche, che ha ben 253 Starbucks a Seul

I Paesi meno colpiti dalla crisi dei muti e da quella immobiliare sono invece quelli Africani (in tutto il continente ci sono solo 3 Starbucks in Egitto) e quelli Sud Americani, dove l’Argentina e il Brasile, fino a poco tempo fa dei veri disastri finanziari, oggi sno relativamente stabili e di Starbucks ne hanno solo rispettivamente 1 e 14 (per milioni e milioni di abitanti). E l’Italia? L’Italia non ne ha neanche uno e anche per quello, nonostante la sua importanza nel panorama economico mondiale, è stata colpita solo relativamente, così come i Paesi dell’Europa del Nord. Naturalmente ci sono anche eccezioni, come la Russia e l’Islanda, colpitissime nonostante la relativa assenza di Starbucks.

Vista anche la crisi che la stessa Starbucks sta vivendo a livello globale in questi ultimi tempi (con decine di chiusure in tutti i territori), Gorss conclude che la catena, che offre mega caffè dai nomi italianeggianti (Grande, Doppio, Latte, Venti, ecc), rappresenti il modello tipicamente americano di portare un buona idea troppo in là, aprendo nuovi negozi in base al motto “Costruisci e loro (i clienti) verranno”, e basando le sue teorie su modelli matematici poco realistici, come ad esempio “se il cliente deve aspettare tot minuti in fila possiamo costruire un altro Starbucks dall’altra parte della strada”.

Starbucks rappresenta il modello capitalistico americano, basato su un ottimismo esagerato e su spese troppo poco ponderate. Aprire le porte nazionali a Starbucks significa, secondo Gross, abbandonare le proprie tradizioni per il modello americano, più nuovo e veloce ma anche più rischioso. La stessa cosa che hanno fatto le banche e le grandi istituzioni finanziarie di quei Paesi. Il fatto che i licenziatari locali di Starbucks abbiamo pensato di poter attirare una tale, esagerata massa di clienti indica quanto l’eccessivo ottimismo finanziario si fosse esteso a quella particolare cultura.

Ma non è finita qui. La Turchia ha una forte tradizione legata al caffè eppure sono stati già aperti 67 Starbucks a Istanbul. Ecco, secondo questa nuova “Legge di Gross”, dove sorgeranno le prossime vicissitudini finanziarie.

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